Giorni 29, 30 e 31 – Il ritorno. L’erba nasconde, la pioggia cancella (V.H.)

La mattina del venerdì, poco prima di prendere la navetta per l’aeroporto di Airlie Beach, non so bene che cosa aspettarmi. Mentre trascino la mia valigiona intorno alla laguna, facendo foto e ascoltando Leslie Goran, è un po’ come dire addio al Queensland, all’oceano e al viaggio. Ma ho altri due giorni, Sydney è una città incredibile, non sono da sola. E sono ancora qui, dall’altra parte del mondo, dove tutto sembra ancora possibile perché in fondo nulla è ancora reale.

davAtterro per la seconda volta al Kingsford Smith nel primo pomeriggio. Stavolta il tempo è bruttissimo: grigio, freddo, sotto una pioggia insistente. Arrivo in città e mi rifugio da Sappho Books Cafe & Wine Bar, un carinissimo negozio di libri di seconda mano con un caffè e piccolo cortile colorato, dove bazzicano gruppi di sciure al tè e studenti in cerca di tranquillità. C’è anche una gattina, con la cuccia in una delle sale, che si aggira tra gli avventori affettuosa ma riservata, mentre io mi diverto a sfrucugliare tra racconti di Bill Bryson e simpatici quanto surreali libri sull’Italia scritti da autori inglesi, come “Italian ways”, in cui Tim Parks racconta la sua avventura sui binari italici da Milano a Palermo. Ci sono anche aperitivi, eventi e concerti, e probabilmente se abitassi qui il locale avrebbe anche direttamente le coordinate del mio IBAN…

In un pick-up a noleggio della Hertz, al riparo da freddo, pioggia e pensieri di ritorno, arrivo fino a Neutral Bay, a nord di Sydney. E’ il quartiere residenziale per eccellenza: Military Road, la via principale, pullula di caffè, e dopo un mese di transumanza mi passo tutta una mattina a leggere il Guardian, mangiare pasticcini francesi e bere un ottimo espresso. Per la prima volta vado all’estero e mi posso godere un caffè, la cui cultura e storia è stata portata nei decenni dai migranti italiani in cerca di fortuna. E’sdr così tutto un fiorire di coffee shop in cui degustare i classici espressi e cappuccini ma anche il flat white, una bevanda composta da un doppio caffè espresso e del latte montato con una crema molto liquida, un compromesso tra il gusto italiano del caffelatte e del cappuccino con i palati “americani” (eresia) di Down Under.

Durante l’epoca coloniale ciascuna baia di Sydney accoglieva solo le navi di determinate nazionalità, mentre a “Neutral Bay” ci si poteva ancorare liberamente, di qui la denominazione del quartiere, che nel week-end vive di facce rilassate, passeggini e tute da jogging, giù tra l’erba verde dei parchi fino al Neutral Bay Wharf. L’acqua, sempre, è l’ordito che costruisce la città, e a me non resta che perdermici per due giorni, in mezzo alla gente, ai suoi mattoni, ai suoi giardini. Alle sue lavatrici rovesciate.

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